La professionalità dell’educatore


La figura dell’educatore, nel contesto dell’asilo nido, rappresenta un momento fondamentale per il processo formativo del bambino durante la prima infanzia. È, infatti, all’interno della relazione che si instaura tra l’educatore e il bambino che può nascere un confronto arricchente e sempre unico che porta il piccolo ad una maggiore sicurezza in se stesso e lo aiuta ad aprirsi alla relazione con gli altri; una relazione basata sul rispetto dell’altro, sulla scoperta del diverso.

Per molto tempo quella dell’educatore al nido è stata una figura legata a un’idea di “asilo nido” caratterizzato da un taglio storicamente assistenziale, alieno da qualsiasi finalità educativa. La professione dell’educatore di asilo nido si può configurare come un ruolo culturale ed educativo dinamico e complesso, che si propone come interlocutore privilegiato della famiglia e di altre agenzie educative del territorio in cui opera e con esse cresce contribuendo a costruire una cultura dell’infanzia in grado di contestualizzarsi e storicizzarsi (Morsiani et al., 1997).

L’educatore deve maturare una buona capacità di mediazione tra la cultura e il vissuto del bambino, deve possedere una buona capacità di mettersi in gioco e di ripensarsi continuamente alla luce delle esperienze fatte e dei possibili errori commessi.

I punti che caratterizzano la professionalità dell’educatore sono:

  • l’attenzione all’inserimento graduale del bambino;
  • la riflessione sulla delicatezza della condivisione delle cure fra famiglia e nido, nel rispetto della  centralità della famiglia e della storia personale di ogni bambino;
  • l’osservazione del bambino, finalizzata ad accompagnarlo nel suo percorso di crescita individuale, favorendo il consolidarsi della sua identità ed espressione del sé, attraverso il gioco e altre attività educative;
  • la tensione verso un’articolazione del proprio lavoro capace di tenere conto dei bisogni del bambino, ma anche di sostenere i genitori, accettando le emozioni spesso contraddittorie che accompagnano il primo processo di autonomia e distacco fra bambini e genitori;
  • la capacità a progettare l’ambiente e di proporre esperienze che assecondino lo sviluppo sociale e cognitivo, secondo i ritmi di ogni bambino (Morsiani et al., 1997).

La professionalità dell’educatore è legata al riuscire ad operare una sintesi tra i diversi ambiti: un

sapere, di cui l’educatore è portavoce, che non guarda solo a tecniche e metodologie di cui, comunque, deve essere attento conoscitore ma che si esplica anche in un “saper essere”, in un

“saper interagire”, in un “saper fare”.

 

 

Saper essere

“Non esiste educazione senza coinvolgimento emotivo” (Bosi, 2002).

L’intensità, e allo stesso tempo la problematicità e la responsabilità insite nel lavoro educativo con i bambini implica una costante necessità di mettersi in gioco proprio perché la relazione con il bambino è una relazione molto delicata e coinvolgente, in quanto è, sempre, prima di tutto,  relazione tra 2 sfere emozionali. Il bambino, infatti, è un sensibilissimo radar delle emozioni. Questo perché egli è in grado di riconoscere in maniera incontrovertibile ogni nostra reazione emotiva, a prescindere dal significato delle parole. La rappresentazione e la concettualizzazione che l’adulto esprime di un bambino determinano la sua disposizione affettiva, la condotta e il comportamento educativo.

 

Saper interagire

“È la relazione a generare formazione e non il contrario” (Cambi, 2003).

La relazione può essere indicata come la sorgente, il momento originario di ogni evento che può trasformarsi in condizione formativa e, in quanto tale, individuata come ambito privilegiato nel quale si giocano i principi che fanno del nido un luogo di cura e di educazione qualificata, in cui i saperi non sono trasmessi, piuttosto sollecitati ad affiorare in superficie, attraverso il contributo attivo dei bambini, del potenziale cognitivo già presente in loro, e valorizzati per le specifiche caratteristiche che li connotano e che rendono ciascun bambino una persona con un suo preciso tratto identificativo.

Questa modalità di stare con i bambini, e non semplicemente accanto a loro, implica una prospettiva differente da quella generalmente adottata nel sistema scolastico nel suo complesso, poiché connota la relazione tra adulto e bambino come relazione coevolutiva, cioè una relazione basata sulla reciprocità, dove entrambi i soggetti si mettono in gioco, partendo dal presupposto che gli effetti di quella relazione agiranno, per entrambi, producendo cambiamento e orizzonti di senso diversi e più completi.

La relazione, dunque, come ambito di conoscenza che parte dal singolare, dal riconoscimento di due individualità, per aprirsi progressivamente verso il plurale, l’altro o gli altri, il contesto, lo spazio (Bosi, 2002).

Ascolto empatico, condivisione e disponibilità ad accogliere bisogni e richieste creano una particolare dimensione relazionale, nella quale diviene possibile riflettere insieme ai genitori, mettere in comune e a confronto, sostenere non punti di vista ma specifiche modalità genitoriali,

che sono competenze indissolubilmente legate al ruolo di educatore.

L’educatore, infatti, costruisce ed è garante di uno spazio dove sono privilegiati il pensiero, la parola, la relazione.

Pensiero, inteso come spazio mentale, come disposizione verso luoghi, oggetti, giochi, affetti.

Parola, non come offerta di spiegazioni e di risposte certe alle domande dei genitori, bensì nel

senso di dare parola ai significati agiti, agli eventi, alle situazioni, alle emozioni.

In questa visione, l’educatore dà parola alle ansie, alle paure, alle difficoltà dei bambini, dei

genitori, aiutandoli a vivere e a sperimentare il superamento di timori, mettendoli in grado di

leggere contenuti, emozioni e bisogni.

 

Saper fare

“Ciò che è meraviglioso in un bambino è la sua promessa, non la sua esecuzione: la promessa di mettere in atto, a certe condizioni, le proprie potenzialità” (Frabboni, 1996).

Il saper fare si concretizza nel lavoro quotidiano dell’educatore, come messa in campo di conoscenze, metodologie e tecniche relative alle scienze dell’educazione, nonché nella riflessione e costruzione di un progetto educativo per l’asilo nido.

In particolare, uno degli aspetti fondamentali della competenza del saper fare è quello della didattica, intesa nel senso di “come” trasmettere il “sapere”, favorire gli apprendimenti, scoprire e costruire gli strumenti utili al lavoro educativo (Emiliani, 2002).

Nella didattica, gli strumenti diventano mediazioni che, come il corpo, l’educatore può individuare ed utilizzare per costruire le proposte educative e favorire i percorsi di apprendimento.

Gli strumenti della didattica, o meglio le mediazioni della conoscenza, possono rappresentare elementi determinanti per un corretto sviluppo delle potenzialità del bambino, se studiati e costruiti sul campo, nel rispetto delle potenzialità dei soggetti interessati.

 

L’educatrice da una parte svolge quindi un importante ruolo di regia che non guida rigidamente verso mete stabilite a priori, bensì segue in modo attento e intenzionale, e non già passivo e spontaneistico, il cammino autonomo dei suoi piccoli utenti; dall’altra parte ella diventa per il bambino fondamentale veicolo di riconoscimento della propria individualità e, in quanto tale, deve riuscire ad assumere un atteggiamento avalutativo e di sospensione del giudizio, nel tentativo di accogliere le forme di espressione di sé che ogni bambino propone.

Anche il rapporto con i genitori assume tutta la sua centralità, dal momento che la famiglia, in quanto ineludibile tassello di quella globalità che costituisce la persona, rappresenta una realtà da cui non si può prescindere nell’accompagnare il percorso di costruzione identitaria dell’individuo.